lunedì 9 maggio 2016

Peppino Impastato La verità uccisa due volte

Trent'anni fa l'omicidio del giovane di Cinisi commissionato dal boss Badalamenti
di Enrico Bellavia
Era un destino segnato quello di Peppino Impastato. Era nato a Cinisi in una famiglia di mafia. Il marito di sua zia, Cesare Manzella, era un boss di prima grandezza nel firmamento delle coppole. Suo padre, Luigi, aveva un amico che era il numero uno di Cosa nostra, Tano Badalamenti. Ma Peppino "il ribelle", militante di una sinistra che si componeva e si divideva, alimentando una galassia di sigle, partiti e movimenti, cambiò la sua sorte. E Tano Badalamenti diventò il mandante del suo assassinio.

La fine di Peppino, morto a 30 anni, il 9 maggio del 1978, 5 giorni prima della sua elezione a consigliere comunale di Cinisi nelle liste di Democrazia proletaria, impresse una decisa sterzata al corso della vita di chi gli sopravvisse. Di sua madre, Felicia Bartolotta e di suo fratello Giovanni, come di sua cognata Felicetta. Diventarono i custodi della sua memoria e insieme con Salvo Vitale e Umberto Santino, il fondatore del centro di documentazione antimafia, gli implacabili cacciatori di una verità evidente che in pochi intendevano riconoscere. Gli accusatori dei «Notissimi ignoti». Badalamenti, in primo luogo, il cui nome era stato indicato già dal palco nel primo comizio, tenuto due giorni dopo la scoperta del cadavere.

Ci sono voluti 23 anni perché Peppino Impastato diventasse con bollo di giustizia un morto di mafia. E quell´omicidio un delitto contro la parola. L´assassinio di un giornalista postumo. Perché Peppino fu iscritto all´albo professionale, quando finalmente Badalamenti, nel 1997, fu incriminato. Parlava Peppino. Parlava tanto in una Cinisi muta, sorda e cieca.
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